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ANNOTAZIONE FILOSOFANTE

Il medico, il filosofo e dio.
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Luca Nave

Invitato dal Dott. Roberto Lala a tenere delle lezioni di Etica clinica alla Scuola di Specializzazione in Pediatria della Facoltà di Medicina di Torino, mi imbatto in questa immagine, che si trova all’ingresso dell’Aula Magna dell’OIRM-Sant'Anna di Torino. Un bellissimo mosaico dai colori vivaci e accesi che illustra un medico con sembianze divine che riceve in dono, dalla donna genuflessa, il suo neo-paziente. Da un punto di vista estetico, simbolico e rituale è un’immagine di grande effetto.

Mi è balenato in mente il motto di Ippocrate, Iatros Philosophos Isotheos (“Il medico che diventa filosofo è come un dio”). Non è certo una novità di oggi l’associazione tra il medico e dio. Ciò che muta è la natura della divinità: per i greci la divinità del medico era conferita dall’unione tra la Medicina e la Filosofia, in età contemporanea dall’unione tra la Medicina e la Scienza-Tecnica. La Bio-Tecno-Medicina è la salvezza dell’umanità: ciò che esula dalle sue cure non salva, perché esula da ogni possibilità di intervento salvifico. Tutto il resto è stregoneria, magia, rimasugli di culture pre-scientifiche, sciamaniche, ovvero, d'ippocratica derivazione.

E allora, perché invitare un filosofo alla Facoltà di Medicina per incontrare gli specializzandi della nuova professione medica, ormai quasi pronti a fare il loro ingresso nei “Santuari Sanitari” della medicina dell’Età della Tecnica?

Forse per ricordare loro che esiste una dimensione che esula dal Sapere/Fare Tecnico perché riguarda l’Essere medico che incontra l’Essere persona del paziente. Forse per ricordare loro che oltre alla dimensione organica della patologia (Disease) esiste la dimensione dell’esperienza vissuta dal paziente (Illness). Oppure per ricordare loro, infine, che la Cura della Persona o è totale oppure non è Cura, ma mera terapia di corpi malati. Utilissima certo, ci salvi l’Iddio della Tecnica da tutti i mali, ma resta terapia di corpi malati, perché la Cura della Persona sta altrove.

Ma queste cose – si dirà - i giovani medici già le sanno, non serve che un filosofo le spieghi loro.
Certo che le sanno già. Infatti, il filosofo non va a insegnare queste cose nelle Facoltà di Medicina.

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“Chi sa fa – mi disse un giorno il Prof. Alberto Musso – chi non sa fare insegna”.

Ironia socratica.

I filosofi non insegnano ma fanno ricordare ciò che tutti, nelle Facoltà di Medicina come altrove, già sanno. Forse si sono semplicemente dimenticati di sapere. Il saper fare del filosofo è maieutico, perché nel dialogo rievoca i pensieri e le credenze, risuscita le emozioni, i sentimenti e le intuizioni, fa rivivere i valori morali, nutre le idee di vero, di buono e di giusto che conducono la vita e la professione medica.

La filosofia evoca le visioni del mondo delle persone coinvolte nel dialogo e crea ordine-confronto tra esse, nell’incontro con le storie di vita tragiche, clinicamente ed eticamente problematiche. Se evocare e fare ordine tra le visioni del mondo delle persone che quotidianamente si trovano al cospetto del dolore, dell'esperienza vissuta della limitazione, della malattia e della morte propria e altrui, significa insegnare, allora il filosofo insegna qualcosa ai medici. Altrimenti torna a fare il mestiere che faceva Socrate più di venti secoli fa. Socrate non insegnava niente a nessuno perché, delle faccende umane, “non sapeva nulla”, e di nulla aveva certezza assoluta. Il suo compito non era insegnare ciò che è vero, buono e giusto,  ma aiutare a generare e gestire i pensieri sulla verità, la bontà e la giustizia delle persone con cui dialogava. Il filosofo aiuta a far partorire e si prende cura dei pensieri delle persone gravide e in preda alle doglie del parto.

Il Metodo di Etica Clinica Strategica (M.E.S.) e tutta la cassetta degli attrezzi che ci portiamo dietro nelle nostre lezioni sono, appunto, attrezzi, strumenti, espedienti che risultano utili nella misura in cui ci aiutano a suscitare  l’Ethos terapeutico di una certa filosofia, d'una peculiare modalità di Fare Filosofia come Cura di Sé e della propria visione del mondo nell'incontro con l'altro.     

Questo è il ruolo della filosofia per la medicina. Almeno, questo è l’uso che ne faccio io.

Se poi, tale utilizzo della filosofia nella medicina dell'età della Tecnica abbia qualcosa a che fare con la formazione della divinità (Isotheos) del medico, non è certo compito del filosofo giudicarlo. Saranno i pazienti che riceveranno le loro cure a stabilire se coloro che incontrano sarà un Isotheos o un semplice tecnico di corpi malati, che svolge un utilissimo lavoro  che è, appunto, tecnico.

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La tecnica non fornisce risposte alle domande di senso, e non perché la tecnica non sia ancora abbastanza perfezionata ma perché non rientra nel suo programma trovare risposte a simili domande. La tecnica infatti non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità: la tecnica funziona. (Umberto Galimberti, Psiche e Techne)
 

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