Le emozioni malsane (pathos) dipendono prevalentemente da errori di giudizio che inducono ad attribuire un’eccessiva importanza a cose che in effetti non ne hanno, e una scarsa considerazione per le cose che possono essere invece essenziali per il benessere.
Le passioni determinate dagli errori di giudizio hanno una struttura complessa che prevede due proposizioni incoerenti tra loro:
1) nella prima il soggetto esprime un giudizio sulla qualità dell’accaduto (“è un male ciò che è successo”);
2) nella seconda esprime un giudizio sull’appropriatezza della reazione emotiva (“è giusto che io soffra e mi affligga assai per questo male”).
Il farmaco "Giudizio" interviene innanzitutto sulla seconda proposizione invitando il soggetto ad analizzare l’appropriatezza della sua reazione a quanto accaduto, che spesso si rivela eccessiva o spropositata. Quindi interviene sull’errore di giudizio espresso dalla prima proposizione che, spogliato dalla componente “pato-logica”, non è più una passione ma una kakìa, cioè una forma di stoltezza o ignoranza che possono essere curate con la filosofia.
“Non dire a te stesso più di quello che le prime rappresentazioni ti fanno conoscere dell’oggetto. Ti riferiscono che un certo individuo ti diffama: ma con questo non ti si dice che tu ne sia danneggiato” (Marco Aurelio, 1989, p. 132).
Il meccanismo è il seguente: ci viene presento un certo fatto “oggettivo”, ad esempio: “Gianni ha detto certe parole che ci riguardano”. A questa prima rappresentazione spesso si aggiunge, spontaneamente, una seconda rappresentazione che si esprime con un giudizio interiore: “queste parole calunniose mi oltraggiano e mi danneggiano gravemente”.
L’emozione malsana non si genera dal “giudizio di esistenza” (“Gianni ha detto…”) ma dal nostro personale “giudizio di valore” (“Le parole mi danneggiano…”). Quest’ultimo non si fonda sulla realtà ma sulla nostra rappresentazione della realtà o visione del mondo. Il farmaco “Giudizio” invita a separare la rappresentazione della realtà dall’emozione che essa genera tramite la nostra falsa rappresentazione. E' quest'ultima a provocare turbamento, tristezza o timore.
L’ideale sarebbe creare una rappresentazione esatta, in un certo senso “fisica” e “a-patica”, degli avvenimenti. Scrive Marco Aurelio:
“Occorre sempre dare una definizione o descrizione dell’oggetto che si presenta nella rappresentazione, al fine di vederlo in sé stesso, qual è nella sua essenza, messo a nudo tutto intero in tutte le sue parti […] e dire a sé stessi il suo vero nome e quello delle parti che lo compongono e nelle quali si risolverà. […] Quando le cose appaiono troppo seducenti, mettile a nudo, scorgi la loro bassezza, spogliale di quelle storie che si narrano su di esse e di cui si inorgogliscono” (id.).
Il Farmaco “Giudizio” aiuta ad analizzare il proprio discorso interiore, ciò che il soggetto si dice continuamente nel dialogo tra sé e sé, anche se spesso non ne è consapevole. L’obiettivo è scoprire se in esso non si sia insinuato un errato giudizio di valore andando così ad aggiungere alla rappresentazione comprensiva della realtà qualche elemento ad essa estraneo. “Giudizio” non agisce sul valore affettivo della rappresentazione - che non designa mai solo l’immagine di un oggetto - ma sull’immagine di un oggetto accompagnata da un falso giudizio sullo stesso.
Questo farmaco cambia il modo di valutare gli oggetti, le persone e gli eventi della vita. Cura in particolare la “vanità”, cioè “l’apparenza gonfiata dall’opinione” (Marco Aurelio, Id.). Il metodo “fisico” per la definizione delle cose vuole eliminare l’antropomorfismo, ovvero “l’umano, troppo umano” che si aggiunge alle cose quando vengono rappresentate.
BIBLIOGRAFIA
Marco Aurelio, Pensieri, Mondadori, Milano 1989
AUTORI
Rubrica a cura di Maddalena Bisollo e Luca Nave, direttori del Master in Counseling Filosofico Pragma, collaborano con Enti, Organizzazioni e Università con progetti di Pratiche Filosofiche sull'intero territorio nazionale.
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